Pochi giorni fa ero a Francoforte, presso InCantina, wine restaurant emiliano-romagnolo, per un evento dedicato alla promozione del territorio della romagna e dei suoi vini.
Per l’occasione il mio amico Massimo Ancarani, responsabile sommelier del ristorante nonchè grande conoscitore di vini mi ha fatto leggere (in realtà mi ha tradotto) un interessante articolo apparso sulla rivista tedesca Sommelier Magazin, dedicato ai vini Italiani.
Nell’articolo, il giornalista tedesco presenta una sua personale visione sull’Italia del vino e sulle dinamiche che portano il consumatore e il sommelier stesso alla scelta di certe referenze, e in particolare alla difficoltà di proporre varietà meno famose, come il Sangiovese di Romagna, a discapito dei soliti noti Chianti, Brunello e Barolo.
L’articolo fornisce interessanti spunti di riflessione che sono una riprova di come la comunicazione del vino passi indossolubilmente dalla comunicazione e dalla promozione del territorio, inteso a volte come territorio allargato e non prettamente territorio d’origine. Perchè all’estero non è facile comprendere certe differenze fisco-geografiche o varietali all’interno di ciò che sulla carta è una stessa entità territoriale racchiusa da confini politico-amministrativi. Non so se mi spiego, in una cartina dell’Italia, l’Emilia-Romagna è una cosa sola e non esiste l’Emilia del Lambrusco e la Romagna del Sangiovese e poco importa se a Imola c’è un “immaginario” confine intra-regionale.
Pensate quindi come può essere più semplice spiegare all’estero un territorio come l’Emilia-Romagna e magari il Sangiovese partendo da alcuni punti saldi, da immagini regionali universalmente riconosciute come la Ferrari, il Prosciutto di Parma, Bologna, piuttosto che dai Colli di Faenza e le ceramiche, Colli di Rimini e il mare, Colli di Imola e…non lo so già più perchè sono di Forlì.
Il giornalista sommelier non manca, quindi, di puntualizzare con vena leggermente critica un fatto che anche io, nel mio piccolo, condivido. Ovvero di come il grande numero di denominazioni, di zone e sottozone possa costituire un elemento di forte complessità nella comprensione del vino da parte del consumatore e dell’operatore tedesco (e non solo).
Sono circa 500 le denominazioni in Italia tra DOC, IGT, DOCG, per di più in crescita.
Dal mero punto di vista della comunicazione e del marketing del brand diventa difficile appunto utilizzare efficacemente il discorso delle denominazione d’origine, delle rispettive zone e sottozone. Tutto ciò rischia di essere una lama a doppio taglio se il vino non costituisce di per se un Cru e un marchio già conosciuto. Da un lato può essere uno strumento di caratterizzazione e maggiore identificazione, dall’altro però genera complessità di comprensione, laddove la semplificazione invece può garantire una nitida chiave di lettura per il consumatore, anche se parzialmente generica.
Tuttavia secondo il giornalista della rivista Sommelier Magazin “questa è l’Italia: al primo posto il paesello, poi la Regione, poi la Nazione”.
E allora come si comporterebbe un consumatore di fronte ad una carta dei vini dell’Italia, su cosa ricadrebbe la sua scelta a prescindere dalla qualità del vino? “Di sicuro su un Chianti, su un Nobile di Montepulciano o su di un Barolo”.
Il motivo?
“Semplice, il consumatore che sfoggia un’ampia carta dei vini completa di numerose varietà, di nomi di aree e zone sconosciute si trova spaesato, per certi versi insicuro, si può ritenere fortunato quando può in qualche modo immediatamente indentificare un nome con un luogo, con un’immagine”. E allora la scelta è molto facile che ricada sui soliti noti toscani e piemontesi.
Infatti, cos’hanno in mente i consumatori quando pensano al vino rosso italiano?
“Per il Chianti e il Montepulciano l’immagine è Firenza, il ponte Vecchio, le verdi colline toscane e la bistecca alla fiorentina. Per il Barolo, di sicuro le nebbie, Alba, il tartufo e i colori dell’autunno”.
Queste sono le immagini dei territori, che collegate ai vini hanno di sicuro aiutato ad incrementarne la conoscenza, la fama e anche le vendite. E’ la memoria intesa come immagine fissa nella nostra mente che ci ancora a qualcosa e ci aiuta in questo caso a riconoscere un vino. E la Toscana e il Piemone, Firenze, il tartufo e le colline sono molto più riconoscibili all’estero delle peculiarità territoriali e artistiche di una variegata regione come l’Emilia-Romagna. Un po’ come noi italiani facciamo certamente meno fatica ad immaginare nella nostra mente la collocazione geografica della Baviera piuttosto che del Baden-Wüttenberg, magari pensando ad una fresca birra bionda.
Anche ristoratori e sommelier lavorano per immagini già conosciute per descrivere un vino al consumatore e fornirgli le informazioni utili alla scelta. Immagini in un certo modo standardizzate di luoghi di sensazioni ormai comunemente condivise. Luoghi comuni insomma, volti alla semplificazione e alla facile comprensione.
A questo punto il giornalista prende proprio ad esempio il Sangiovese di Romagna dicendo – come può allora un sommelier consigliare un meraviglioso Sangiovese di Romagna?
“La varietà è conosciuta per via del noto Chianti e del Brunello, ma in Romagna è più pieno, con un fruttato più evidente. Ciò non è sufficiente perchè il consumatore recepisca il messaggio”. La volta successiva, infatti, avrà già sicuramente dimenticato il link mentale che potrà indirizzare la sua scelta per questo vino. “Il consumatore necessità di immagini che gli semplifichino la scelta”.
Domanda allora il cliente. Ma la Romagna dove si trova?
“E’ una piccola regione che si affaccia sull’Adriatico, una delle regioni con più varietà gastronomiche, mortadella, prosciutto, parmigiano, aceto balsamico” – tutte immagini che in un ipotetico paniere internazionale di prodotti gastronomici di qualità sono presenti e ciò non è poco – “In questo modo il cliente riesce a costruirsi un’immagine”.
“Per chi conosce il vino l’immagine è già nota, per gli altri bisogna costruirla”. Il vino si spiega da solo, ma la sua origine può essere croce e delizia.
Capisco che per questioni geografiche e dal punto di vista delle varietà vinicole la Romagna è qualcosa di estremamente diverso dall’Emilia, ma non credo sia pensabile promuoversi all’estero, in un contesto altamente competitivo, senza chiamare in causa, se vogliamo in modo prettamente strategico, alcuni punti di forza comuni. I vini dell’Emilia-Romagna, in questo caso il Sangiovese, potranno avere maggiore appeal internazionale se agganciati a ciò che maggiormente della nostra regione è conosciuto al di fuori. Aiuterebbe di sicuro il consumatore ad identificare immediatamente il prodotto. In fondo anche il Nobile di Montepulciano non cresce in prossimità di Ponte Vecchio o nei giardini degli Uffizi. Tuttavia la bellezza di Firenza, prima ancora che delle colline riscoperte in seguito, ha di sicuro contribuito alla riconoscibilità dei vini toscani all’estero. In un secondo tempo magari l’appassionato, il consumatore potrà anche capire che la Romagna ha certe sue caratteristiche territoriali, certe sue peculiarità gastronomiche ed enologiche diverse dall’Emilia e che il Sangiovese a Rimini è un po’ diverso che a Bertinoro ma, ripeto, dovrebbe forse essere un passo successivo nel percorso di promozione dei vini Romagnoli. Già un passo verso la semplificazione c’è stato con la definitiva approvazione, lo scorso settembre, della DOC “Romagna”.
(NdA in corsivo virgolettato la traduzione non letterali dell’articolo)